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      Cosí il valore delle monete, particolarmente dell'oro e dell'argento, è una relazione, che hanno insieme questi due metalli in ordine alla quantitá che di loro si trova in mano agli uomini, destinata al commercio ed alla stima che essi ne fanno nel farne baratto da uno con l'altro o d'ambiloro colle cose disiderate da loro.
      Or, come questi due metalli ormai da quasi tutte le nazioni del mondo sono destinati a quest'uffizio, il valore, che chiamiamo delle monete, non è altro che quella relazione che ha uno d'essi all'altro in ordine alla stima che ne fanno gli uomini: e quando vogliamo dire il valore d'una libbra d'oro, non abbiamo piú certa misura, per ispiegarlo, quanto riferendolo all'argento; ma, se ci accade avere a dinotare il valore dell'argento, subito con l'altro suo piú comune relato lo significhiamo, dicendo che una libbra d'argento vale 4/59 d'una libbra d'oro, o vogliamo grani 468 3/5 d'oro. Vero è che, potendo il valore dell'uno e l'altro metallo equipararsi anche ad altre cose, del valore delle quali egli è misura; come Diomede e Glauco, i quali, come dicemmo, barattarono l'armature, valutando quella d'uno, ch'era piú ordinaria, 9 buoi, e l'altra, ch'era d'oro, dice Omero che valeva 100 buoi: in questo caso il numero de' buoi ebbe luogo di moneta in quel contratto, come quello che fu misura del comune valor delle cose contrattate. E nello stesso modo si potrebbe d'ogn'altra cosa il valore esprimere con ogn'altra cosa.
      Ma, per meglio ancora intendere ciò che vuol dire questa parola "valore", "prezzo", "valuta", ecc., figuriamoci non trovarsi al mondo altro metallo o materia a proposito per questo uffizio, fuorché l'argento.


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





Diomede Glauco Omero