Come mai diremo esser caro o a buon prezzo l'argento, se non in paragone delle cose in cui si baratta? Per modo che, quando sará abbondanza di cose contrattabili e scarsezza d'argento, ognuno, che averá merci, proccurerá venderle, per avere con che comprarne dell'altre per suo bisogno, e, non potendo per due paia di buoi aver molto argento, li dará per poco; e diremo l'argento esser caro. All'incontro, se maggior copia d'argento del suo solito si trovasse nel mondo, chi ne avesse, non guarderebbe sí al sottile, come prima, per provvedersi di sue necessitá; e direbbesi esser a buon prezzo l'argento, mentre con un paio di buoi se ne ha piú che prima non si trovava con due paia: esperienza che ogni giorno vediamo ne' mercanti e nelle fiere e nelle piazze di mercanzie piú ricche, ove da una settimana all'altra, giusta l'abbondanza e la scarsezza di danaro da disporre, o si alza o s'abbassa il cambio ed i prezzi delle cose.
Né qui parrebbe sí difficile la quistione per ricercare qual sia la vera essenza delle monete; perché, non essendoci altra moneta che l'argento, l'argento valerebbe cose, e le cose valerebbero argento; uno sarebbe misura dell'altre: onde altro non vi sarebbe da discorrere, se non forse da' metafisici, co' quali qui non ragiono. Ora egli è per accidente che l'oro ed il rame anch'essi concorrano all'officio dell'argento, servendo di moneta: ed in quel modo che, a misurare una distanza, posso valermi del braccio da seta, del piede, de' passi, canne e di tant'altre misure fra loro discordi; cosí, a misurare il valore delle cose o la stima che ne fanno i nostri disidèri, avviene di valersi ora dell'oro, or dell'argento, ora del rame o d'altra materia, che l'uso e l'autoritá del principe autorizzano per moneta.
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