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      La regina Elisabetta d'Inghilterra volle una volta levare il viglione a' suoi popoli, riducendo il commercio in monete d'oro ed argento; ma il suo popolo si rissentí cosí fieramente dell'incomodo, non avendo monete di quel minimo valore di che aveva bisogno, che, a forza di popolari commozioni, fu necessitata a rimetterlo (30).
      Or, siccome di questa sorte di monete non si trova quasi nazione che abbia osservato ed osservi cosí esatta la proporzione dell'intrinseca bontá alle monete maggiori, che possa dirsi contener elleno quel tanto di valore di metallo quanto sono dal principe valutate, è quistione ben importante, ed insieme non affatto decisa finora, se sia necessaria in queste ancora la proporzione suddetta.
      Ogni moneta ha, come si dirá piú chiaro in avanti, due sorti di valuta, interna ed esterna. L'interna s'appoggia alla quantitá del metallo fino, che contiene il peso di tutto il prezzo, ragguagliato alla quantitá e peso dell'altro metallo inferiore e maggiore in quello di molta lega. L'esterna poi si appoggia all'autoritá del principe, che comanda ch'ella si spenda e non sia ricusata.
      Se uno Stato non avesse punto di commercio con gli altri e vivesse delle sole comoditá che produce il suo terreno, come ha fatto tanto tempo la Cina ed alcuni altri popoli, potrebbe il principe valutar le sue monete quanto a lui piacesse, e fossero di che materia si volessero. Onde quei tartari del Catai, che Marco Polo e dopo lui tant'altri ancor moderni raccontano aver in uso monete di carta sigillata dal loro re ed altri ministri, non ne sentono incomodo alcuno, mentre comunemente fra loro sono accettate.


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





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