CAPITOLO VIII
Del valore delle monete paragonate alle lire e scudi di ciascun paese, che sono per lo piú immaginarie.
Sono adunque i due piú ricchi metalli la vera misura e prezzo delle cose vendibili; e, se il rame o la moneta minuta e di lega inferiore ha corso in commercio, non serve che come fanno l'once, le dramme e i grani nel pesar le mercanzie a pesi grossi, imperocché s'espongono le quantitá di esse prima a pesi maggiori di libbre, pesi, rotoli, ecc., e solo le minuzie di piú spiegano con l'once e le dramme. Che però il vero prezzo e valore d'una cosa non in altro consiste, secondo le precedenti dottrine, che nell'egualitá di stima che fanno gli uomini di quella tal cosa e di un tanto oro, o in sua vece proporzionatamente d'un tanto argento; ed allora si dice prezzo giusto, quando comunemente gli uomini quel tanto oro ed argento darebbono in quel paese per quella tal cosa, se facesse loro di bisogno. E resta chiaro ancora ciò che vuol dire "valore", "prezzo caro" e "buon mercato", ecc. Conciossiaché queste voci altro non suonano che la misura della stima che di quelle cose, siansi monete o merci, fanno comunemente gli uomini in quel paese. E, perché la misura di questa stima dicemmo esser la moneta, e fra le monete l'oro e l'argento sono i metalli che camminano nella stima degli uomini piú proporzionatamente, e sono quelli che, abbiano qual impronto si voglia, sono per tutto il mondo piú universalmente accettati: perciò, quando si parla di merci, il loro valore, prezzo, ecc. non può piú giustamente esprimersi che in tant'oro e in tanto argento.
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