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      Nello stesso modo corre in Padova uno scudo immaginario ne' contratti de' cavalli, buoi ed altri animali, valutato sette lire di moneta veneta (benché i forestieri, per maggior loro facilitá sulle fiere, piú volentieri parlino a doppie d'oro), e questo scudo immaginario non muta giammai numero da quelle sette lire, vadano come vogliono co' suoi accrescimenti le monete vere d'oro e d'argento. Cosí in Modona lo scudo da 5.3, in Bologna lo scudo da 4, in Mantova da 6, e cosí in molti altri paesi altri scudi, che sono del tutto immaginari; dal che nasce poi che, quando le vere valute delle monete d'oro e d'argento ricevono alterazione, valutandosi piú del solito in questa immaginaria moneta, si confondono insieme seco le valute delle cose vendibili e i contratti vecchi e nuovi, con perpetuo incomodo e pregiudizio pubblico e de' privati.
     
     
     
      CAPITOLO IX
     
      Che, quando si dice crescer di valore le monete, perché si valutano piú lire o soldi immaginari, piú propriamente si deve intendere che le lire, soldi, scudi immaginari scemino di prezzo.
     
      Sembra a molti un paradosso questa proposizione, ch'io spero di provare non solo verissima, ma di servirmene con profitto a render chiare le ragioni vere dell'alterazione delle monete.
      Abbiamo ne' capitoli antecedenti fatto vedere che l'oro e l'argento sono l'uno dell'altro misura e prezzo: sicché, preso l'oro come mercanzia, si dice ch'egli vale tanto argento l'oncia; e preso l'argento altresí per mercanzia, si dice che vale tant'oro alla libbra. E, qualora le monete dell'uno e l'altro siano a suo giusto valore tassate secondo la proporzione che corre piú universalmente nel traffico mondano, uno per l'altro si baratta giusta quella loro tassazione o valuta ch'è loro destinata.


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





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