Né qui vedo altro potersi opporre a questa dottrina, se non se alcuno dicesse che anzi il vero valore delle monete d'oro e d'argento deve paragonarsi colle cose vendibili, non con le monete basse e con gli scudi e lire immaginarie; ed il zecchino, per esempio, valendo 18 lire, bastava per comprar diciotto cose da una lira l'una: ora col medesimo, che ne vale 20, ne comprerò due di piú. Ma io rispondo che ciò pur troppo si verifica nelle spese minute con danno del principe, come mostrerò nel capitolo seguente; ma non perciò si deve dire che il zecchino vaglia piú di prima, perché anzi, restando egli della stessa quantitá e bontá d'oro ch'egli era, né valendo di piú di prima ne' paesi forestieri, non si può dire cresciuto. Che, se bene per qualche tempo sembra nelle cose vili, ed in particolare in quelle che spettano al vitto, comprarsi piú cose col zecchino, quando egli vale piú lire immaginarie; nelle piú importanti però i mercanti alzano proporzionatamente i prezzi alle mercanzie forestiere, ben sapendo che, per quanto siano cresciute di valore le monete nello Stato proprio, paragonate alle monete basse ed alle immaginarie, non perciò potrá un mercante veneziano pagare a Milano il debito fatto per quelle merci, se non con la stessa quantitá delle stesse monete d'oro e d'argento, che prima le valevano. E perciò resta il danno solo alla plebe ed all'erario del principe, che tira i suoi dazi ed altre entrate a ragione di tanti soldi, ecc., come si vedrá.
CAPITOLO X
Qual effetto produca la proporzione dell'oro all'argento, male osservata nella valutazione delle monete.
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Stato Milano
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