Ed addurranno cento storiette particolari del modo con che varie mercanzie italiane son cadute a terra e tuttavia vanno perdendosi; e soggiungeranno di piú che l'avere i nobili in molte cittá abbandonato la mercatura in mano della gente inferiore, investiti li capitali in contee e marchesati, pigliando quasi a schifo l'esercizio, che pur è nobile, dell'onorata mercatura per far vita signorile e da principi, ha dato nella maggior parte delle cittá l'ultimo crollo anche alle arti, che da' ricchi per l'addietro venivano sostentate. Al che non contraddico, non accusando io quei mercanti, che non sono degni d'accusa; ma replico che, fra l'altre cagioni della perdita della mercatura in Italia, la mercanzia delle monete non è delle infime, mentre quei capitali, che pur sono i piú grossi, sono morti ad ogni altro, fuorché al mercante stesso che li maneggia.
CAPITOLO XI
Anche l'abuso di lasciar correr monete scarse di peso per buone produce danno al principe ed a' sudditi, facendo alzar di prezzo le buone.
Né sola è la proporzionata valuta, che si dá alle monete per l'intrinseca bontá, la causa dell'alzamento delle monete, ma anche la mancanza nel peso; imperciocché l'abuso di molte cittá d'Italia di tolerare gli ori e gli argenti di minor peso del giusto, lasciandoli correr al valore di quelle che seco portano il giusto peso, ha dato occasione a due maniere di tosar le monete: una sola delle quali è infame e soggetta alla punizione; l'altra, sebbene indirettamente produce gli stessi effetti, pure è esente d'infamia non meno che di castigo.
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