Né valse alcuna rimostranza d'interesse, che facesse qualche ministro a quell'ottimo principe, benché giovanetto allora di quindici anni; ché ordinò che non si facesse pagar piú de' soliti 45 bolognini, e fosse qual si volesse il danno dell'erario. Giusto insieme e pio principe! Ma frattanto, se si fosse mantenuta all'antico posto la valuta de' testoni e delle altre monete d'argento, egli averebbe tuttora, d'ogni dieci carrozze che passano quel fiume, una doppia d'oro; che, sostenendo a 45 bolognini l'una il pedagio, non bastano 14 carrozze: onde ha perduto poco meno del terzo di quell'entrata.
Ora lo stesso, che di quello Stato ho fatto vedere, di tutti gli altri può dirsi, ne' quali tanto scemano le entrate pubbliche sempre, quanto crescono le valute delle monete d'oro e d'argento. E non è solo danno del principe questo accrescimento, ma della maggior parte de' sudditi ancora; anzi non so quasi se fra tutti ne sieno altri che non ne sentano il danno, fuor di que' mercanti, che stanno su l'incetta delle monete e che ne attraggono a se medesimi il profitto nel modo che si dirá piú avanti. Conciossiaché tutti quelli che posseggono censi, livelli ed altre entrate annue, che sono loro pagate a contanti, vanno del continuo perdendo tanto delle entrate loro effettive quant'è l'accrescimento delle monete.
Fu comprato da un mio antenato un censo di 3000 scudi di Modona, da lire cinque e soldi tre l'uno, in tempo che la doppia valeva 22 lire e mezza della stessa moneta, e fu pattuito col censario che egli ne pagarebbe il frutto in ragione di sei per cento all'anno: onde era un'entrata di 180 scudi all'anno in moneta suddetta.
| |
Stato Modona
|