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      Molto piú que' bisognosi, che pigliano danaro a cambio, censo, livello e simili contratti per sovvenire a' suoi bisogni in que' tempi penuriosi, ricevono ciò che vuol dare chi loro da a cambio. E volesse Iddio che, oltre il pagare con monete scarse ed a prezzi maggiori del giusto, non vi fossero certe coscienze sorde, che dánno in luogo di contante fino gli abiti vecchi de' loro bisavoli, valutandoli come se fossero spiccati allora dal fondaco del mercatante e fossero sulla gran moda corrente! Le quali cose tutte fanno alzar di valuta le monete; con che diminuiscono le pubbliche e le private rendite, si deteriorano le arti e ne succedono gli altri mali tante volte accennati.
     
     
     
      CAPITOLO XVI
     
      Che alcuni partitanti, nelle proposizioni che fanno a' principi di batter monete, cuoprono il loro interesse e fanno falsamente apparire che dalle loro proposizioni risulti utile non solo al principe, ma a' popoli ancora.
     
      È sentenza di Platone, altrettanto vera quanto difficile da comprendere senz'un'attenta considerazione, che non può esser utile o guadagno alcuno fra' mortali, che non sia danno e pregiudizio d'altri. Quel grano stesso che dalla terra uno trae lavorandola, anzi quelle stesse frutta che, spontaneamente nate, non ponno negarsi dono gratuito della natura, quelle ancora, passando in mano di chicchessia, anco la prima volta sono a quelli bensí utili, ma a qualch'altro dannose; perché, se colui non le avesse, provvederebbe al suo vitto con altro modo, utile a qualchedun altro.
      Ora, se il guadagno d'uno è dunque perdita d'un altro, come mai persuaderanno ad un principe i partitanti d'aver proposizioni, con le quali possa egli approfittarsi su le monete senza danno, anzi con utile de' sudditi?


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





Iddio Platone