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      Per ritornar dunque al nostro assunto, egli è cosa certa che le monete sono sempre cresciute di valutazione, e giammai non diminuiscono, se non è per qualche picciola cosa che un principe le ritiri indietro. E, se questo è effetto del commercio, come lo è certamente, qual è la sua origine? Io per me considero che l'autoritá de' principi, qualunque volta ella si contrappone alla forza de' popoli, non è giá di gran lunga cosí grande come ella sembra. Comandano i principi ciò che loro sembra utile a' loro Stati; ma eseguiscono i popoli piú volentieri quelle cose nelle quali non sentono danno privato, che quelle ove ognuno da sé ne prova svantaggio o si crede provarlo; e quindi nasce che si guardano i principi prudenti d'ordinar cose tali, che possano universalmente spiacere e produr commozioni. Ogni mutazione, che si faccia nelle monete, porta pregiudizio poco meno che universale; e si sono mostrati sopra al capitolo decimosecondo quali siano i danni che al pubblico ed a' privati nascono dal crescer della valuta di esse. E pure il popolo minuto, ch'è il piú numeroso, se ne eccettuiamo i mercanti, non ne conosce tanto lo svantaggio, che non goda piú tosto, benché con error d'intelletto, in vedersi in mano 25 scudi, che poco tempo fa valevano 9 lire e mezza l'uno, ond'erano lire 237 e mezza, ed ora, cresciuti a 10 lire, gli vagliono in mano lire 250: con che egli è ben cosa difficile persuaderlo che egli non abbia guadagnato quelle 12 lire e mezza, essendo solito degli uomini il lasciarsi muovere piú gagliardamente dalle cose presenti e sensibili che dalle lontane e difficili da poter senza qualche speculazione comprendere.


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





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