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      E di ciò fu cagione che trovorono un giorno una brocca antica di terra, piena di medaglie. Venero manco a Filippo i denari, e si andava riparando con il legare gioie a orefici suoi amici che erano di prezzo; e cosí si rimase solo in Roma, ché Donato a Fiorenza se ne tornò, e con maggiore studio e fatica di prima, dietro alle rovine di quelle fabriche, di continuo si esercita,va. Né restò ch'e' non fusse disegnata da lui ogni sorte di fabbrica, tempii tondi e quadri, a otto facce, basiliche, acquidotti, bagni, archi, colisei, anfiteatri et ogni tempio di mattoni, da' quali cavò le cignature et incatenature, e cosí il girarli nelle volte, tolse tutte le collegazioni e di pietre e di impernature e di morse; et investigando a tutte le pietre grosse una buca nel mezzo per ciascuna in sotto squadra, trovò esser quello ferro, che è da noi chiamato la ulivella, con che si tira su le pietre, et egli lo rinovò e messelo in uso di poi. Fu adunque da lui messo da parte, ordine per ordine, dorico, ionico e corinto, e fu tale questo studio, che rimase il suo ingegno capacissimo di potere vedere nella immaginazione Roma come ella stava, quando non era rovinata. Fece l'aria di quella città un poco di novità l'anno 1407 a Filippo, onde egli, consigliato da' suoi amici a mutar aria, se ne tornò a Fiorenza. Nella quale, per l'absenzia sua, si era patito in molte muraglie, per le quali diede egli a la sua venuta molti disegni e molti consigli. Fu fatto il medesimo anno una ragunata d'architettori e di ingegneri del paese, sopra il modo del voltar la cupola, dagli operai di Santa Maria del Fiore e da i Consoli dell'Arte della Lana, intra quali intervenne Filippo e dette consiglio che era necessario cavare lo edifizio fuori del tetto e non fare secondo il disegno d'Arnolfo, ma fare un fregio di braccia quindici d'altezza et in mezzo a ogni faccia fare uno occhio grande, perché oltra che leverebbe il peso fuor de le spalle delle tribune, verrebbe la cupola a voltarsi piú facilmente.


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Le vite de' più eccellenti architetti pittori et scultori italiani da Cimabue insino a' tempi nostri.
di Giorgio Vasari
1550 pagine 1014

   





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