Dove dal sopradetto M Carlo gli fu detto che egli avvertisse alle mani che dipigneva perché molto le sue cose n'erano biasimate. Per il che fra' Filippo nel dipignere da indi innanzi la maggior parte o da panni o da altra invenzione, ricoperse per fuggire il predetto biasimo. Lavorò in Fiorenza alle monache di Annalena una tavola d'un presepio, et in Padova si veggono ancora di lui alcune pitture. Mandò a Roma due storiette di figure picciole al cardinal Barbo, le quali erano molto eccellentemente lavorate e condotte con diligenzia. E certamente ch'egli con maravigliosa grazia lavorò, e finitissimamente uní le cose sue, per le quali sempre da gli artefici in pregio e da moderni maestri è stato con somma lode celebrato; et ancora mentre che l'eccellenza di tante sue fatiche la voracità del tempo terrà vive, sarà da ogni secolo avuto in venerazione.
Si trasferí a Prato, castello vicino a Fiorenza, dove per parentela d'alcuni suoi che rimasti erano in compagnia di fra' Diamante del Carmino, stato compagno e novizio insieme, alcuni mesi dimorò faccendo opere in diversi luoghi di quel castello. Avvenne allora che le monache di Santa Margherita gli allogarono per lo altare della chiesa una tavola, la quale poi che egli ebbe cominciata, essendo nel moniste,ro, vide fra' Filippo un dí una figliuola di Francesco Buti cittadin fiorentino, la quale o per serbanza o per monaca farsi era quivi condotta. Fra' Filippo dato d'occhio alla Lucrezia, che cosí era il nome della fanciulla, la quale aveva bellissima grazia et aria, tanto operò con le monache che ottenne di farne un ritratto, per metterlo in una figura di Nostra Donna per l'opra loro; la qual cosa con molta difficultà gli concessero.
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