Che s'eglino avessino avuto quelle minuzie de i fini, che sono la perfezzione et il fiore dell'arte, arebbono avuto ancora una gagliardezza risoluta nell'opere loro e ne sarebbe conseguito la leggiadria et una pulitezza e somma grazia, che non ebbono, ancora che vi sia lo stento della diligenzia, che son quelli che danno gli stremi dell'arte nelle belle figure, o di rilievo o dipinte. Quella fine e quel certo che che ci mancava, non lo potevan mettere cosí presto in atto, avvenga che lo studio insecchisce la maniera, quando egli è preso per terminare i fini in quel modo. Bene lo trovaron poi dopo loro gli altri, nel veder cavar fuora di terra certe anticaglie citate da Plinio de le piú famose: il Lacoonte, l'Ercole et il Torso grosso di Belvedere, cosí la Venere, la Cleopatra, lo Apollo et infinite altre, le quali nella lor dolcezza e nelle lor asprezze con termini carnosi e cavati da , le maggior bellezze del vivo, con certi atti, che non in tutto si storcono, ma si vanno in certe parti movendo, si mostrano con una graziosissima grazia. E furono cagione di levar via una certa maniera secca e cruda e tagliente, che per lo soverchio studio avevano lasciata in questa arte Pietro della Francesca, Lazzaro Vasari, Alesso Baldovinetti, Andrea dal Castagno, Pesello, Ercole Ferrarese, Giovan Bellini, Cosimo Rosselli, l'Abate di San Clemente, Domenico del Ghirlandaio, Sandro Botticello, Andrea Mantegna, Filippo e Luca Signorello; i quali per sforzarsi cercavano fare l'impossibile dell'arte con le fatiche e massime ne gli scorti e nelle vedute spiacevoli che, sí come erano a loro dure a condurle, cosí erano aspre e difficili a gli occhi di chi le guardava.
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