La quale opra fu messa in pezzi per la venuta de' Francesi, e cosí il cavallo non si finí, né ancora si poté finire il palazzo.
Ritornò a Fiorenza, dove trovò che Antonio suo fratello, che gli serviva ne' modegli, era divenuto cotanto egregio, che nel suo tempo non c'era chi lavorasse et intagliasse meglio di esso, e massimamente crocifissi di legno grandi, come ne fa fede quello sopra lo altar maggiore nella Nunziata di Fiorenza, et uno che tengono i frati di San Gallo in San Iacopo tra' Fossi, et uno altro nella Compagnia dello Scalzo, i quali sono tutti tenuti bonissimi. Ma egli lo levò da tale essercizio et alla architettura in compagnia sua lo fece attendere, avendo egli per il privato e publico a fare molte faccende. Avvene, come di continuo avviene, che la fortuna nimica della virtú levò gli appoggi delle speranze a' virtuosi con la morte di Lorenzo de' Medici; la quale non solo fu cagione di danno a gli artefici virtuosi et alla patria sua, ma a tutta l'Italia ancora; e perciò di tal perdita fino il cielo ne fé segno. Rimase Giuliano con gli altri spirti ingegnosi smarriti sconsolatissimo, e per lo dolore si trasferí a Prato vicino a Fiorenza a fare il tempio della Nostra Donna della Carcere, per essere ferme in Fiorenza tutte le fabbriche publiche e private. Dimorò dunque in Prato tre anni continui, con sopportare la spesa, il disagio e 'l dolore quanto poteva il meglio. Avvenne che a Santa Maria di Loreto era la chiesa scoperta, et avendosi a voltare la cupola, cominciata già e non finita da Giuliano da Maiano, stavano in dubbio che la debolezza de' pilastri non reggesse tal peso.
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