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      Con ciò sia che, invaghito di se medesimo, usò termini poco convenienti a virtuoso et artefice, sí come a certe nozze che faceva un conte una sera trovandosi Alfonso, et avendo fatto all'amore con una grandissima gentil donna, fu per aventura da lei levato al ballo della torcia; per il che aggirandosi egli e vin,to da smania d'amore, guardò con occhi pieni di dolcezza verso la sua donna sospirando, e disse in voce tutto tremante: "S'amor non è, che dunque è quel ch'io sento?" Laonde volendoli quella donna, che accortissima era, mostrar l'error suo, gli rispose: "E' sarà qualche pidocchio". Onde di questo motto s'empié tutta Bologna, et egli sempre ne rimase scornato. E veramente se Alfonso alle fatiche dell'arte e non alle vanità del mondo avesse dato opera, averebbe senza dubbio fatto cose di infinita maraviglia. Perché se ciò faceva non esercitando, molto meglio fatte l'avrebbe s'essercitato si fosse.
      Venne in questo tempo l'Imperator Carlo V a Bologna, perché Tiziano da Cador, pittore eccellentissimo, venne a ritrarre Sua Maestà; onde ebbe Alfonso anch'egli via d'entrare per mezzo di Tiziano, e di rilievo cominciò un ritratto quanto il vivo di quegli stucchi. E tanto con grazia espresse la effigie di quello, che oltre il nome che in quella cosa acquistò, de' mille scudi che l'imperatore donò a Tiziano, esso n'ebbe in sua parte cinquecento. La quale riputazione et opera lo fece molto grato al Cardinale Ippolito de' Medici, il quale con ogni instanza lo condusse a Roma; e quivi dimorando ebbe tutti i favori che e' volse da quel signore, il quale aveva allora in casa sua infinità di pittori e scultori e d'altri virtuosi.


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Le vite de' più eccellenti architetti pittori et scultori italiani da Cimabue insino a' tempi nostri.
di Giorgio Vasari
1550 pagine 1014

   





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