La quale opera egli cosí ordinando, non restava però per sua cortesia di far del continuo disegni a tutti coloro che di Arezzo e di fuori, o per pitture o per fabbriche, n'avevano bisogno. Entrò mallevadore di questa opera Gio Antonio Lappoli aretino et amico suo fidatissimo, che con ogni modo di servitú gli usò termini di amorevolezza. Avvenne l'anno MDXXX, essendo l'assedio intorno a Fiorenza, et essendo gli Aretini per la poca prudenza di Papo de gli Altoviti rimasi in libertà, essi combatterono la cittadella e la mandarono a terra. E perché que' popoli mal volentieri vedevano i Fiorentini, il Rosso non si volle fidar di essi, e se n'andò al Borgo San Sepolcro, lasciando i cartoni et i disegni dell'opera serrati in Cittadella: perché quelli che a Castello gli aveva allogato la tavola, volsero che la finisse; e per il male che avea avuto a Castello, non volle ritornarvi, e cosí al Borgo finí la tavola loro. Né mai a essi volse dare allegrezza di poterla vedere: dove figurò un popolo et un Cristo in aria adorato da quattro figure, e quivi fece mori, zingani e le piú strane cose del mondo; e da le figure in fuori, che di bontà son perfette, il componimento attende a ogni altra cosa, che all'animo di coloro che gli chiesero tale pittura. In quel medesimo tempo che tal cosa faceva, disotterrò de' morti nel vescovado, ove stava, e fece una bellissima , notomia. E nel vero il Rosso era studiosissimo nell'arte, né passava mai giorno che qualche ignudo non disegnasse di naturale.
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