E volse con quello, che non poté mai imparare, perdere la spesa et il tempo e farsi danno alla propria vita. E questo fu ch'egli stillando cercava l'archimia dell'oro, e non si accorgeva lo stolto ch'aveva l'archimia del far le figure, le quali con pochi imbratamenti di colori, senza spesa, traggono de le borse altrui le centinaia de gli scudi. Ma egli in questa cosa invanito e perdutovi il cervello, sempre fu povero; e tal cosa gli fé perdere tempo grandissimo et odiarlo da infiniti, che piú per il suo danno che per il loro bisogno, di ciò si dolevano. E nel vero chi riguarda a i fini delle cose, non debbe mai lasciare il certo per l'incerto, né dove ei può facilmente acquistar lode, cercare con somma fatica venire in perpetuo biasmo.
Dicono che in Parma Francesco fu nutrito da piccolo da un suo zio, e che crescendo poi sotto la disciplina di Antonio da Correggio pittore, imparò benissimo da lui i principii di tale arte. E che perché egli era bellissimo di volto e formato di gentile aria, moveva nella sua giovanezza i suoi gesti con animo timoroso et onestissimo. Per che ebbe continuo in custodia un suo zio vecchio, il quale ne aveva diligentissima cura. Di maniera ch'egli avanzandosi nell'arte et investigando le sottigliezze, si mise un giorno, per fare esperimento e saggio di sé, a ritrarsi in uno specchio da barbieri, di que' mezzi tondi. E visto quelle bizzarie che fa la rotondità dello specchio nel girar suo, che i palchi torcono, e le porte e tutti gli edifici stranamente sfuggono, prese per elezzione questa cosa.
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Parma Francesco Antonio Correggio
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