E volse oltra ciò accompagnarlo de la vera filosofia morale, con l'ornamento della dolce poesia, acciò che il mondo lo eleggesse et ammirasse per suo singularissimo specchio nella vita, nell'opere, nella santità de i costumi et in tutte l'azzioni umane, e che da noi piú tosto celeste che terrena cosa si nominasse. E perché vide che nelle azzioni di tali esercizii et in queste arti singularissime, ciò è nella pittura, nella scultura e nell'architettura, gli ingegni toscani sempre sono stati fra gli altri sommamente elevati e grandi, per essere eglino molto osservanti alle fatiche et agli studii di tutte le facultà, sopra qual si voglia gente di Italia, volse dargli Fiorenza, dignissima fra l'altre città, per patria, per colmare alfine la perfezzione in lei meritamente di tutte le virtú, per mezzo d'un suo cittadino, avendo già mostrato un principio grandissimo e maraviglioso in Cimabue, in Giotto, in Donato, in Filippo Brunelleschi et in Lionardo da Vinci, per mezzo del quale non si poteva se non credere che col tempo si dovessi scoprire un ingegno che ci mostrasse perfettissimamente (mercé della sua bontà) l'infinito del fine.
Nacque dunque in Fiorenza l'anno MCCCCLXXIIII un figliuolo a Lodovico Simon Buonaroti, al quale pose nome al battesimo Michele Agnolo, volendo inferire costui essere cosa celeste e divina piú che mortale. E nacque nobilissimo, percioché i Simoni sono sempre stati nobili et onorevoli cittadini. Aveva Lodovico molti figliuoli perché, essendo povero e grave di famiglia, con , assai poca entrata, pose gli altri suoi figliuoli ad alcune arti, e solo si ritenne Michele Agnolo, il quale, molto da se stesso nella sua fanciullezza, attendeva a disegnare per le carte e pei muri.
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