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      Squadrollo , Michele Agnolo un giorno et, esaminando potersi una ragionevole figura di quel sasso cavare, accomodandosi al sasso ch'era rimaso storpiato da maestro Simone, si risolse di chiederlo a gli operai, da i quali per cosa inutile gli fu conceduto, pensando che ogni cosa che se ne facesse, fosse migliore che lo essere nel quale allora si ritrovava, perché né spezzato né in quel modo concio, utile alcuno alla fabbrica non faceva. Laonde Michele Agnolo, fatto un modello di cera, finse in quello per la insegna del palazzo un Davit giovane, con una frombola in mano, acciò che, sí come egli aveva difeso il suo popolo e governatolo con giustizia, cosí chi governava quella città dovesse animosamente difenderla e giustamente governarla. E lo cominciò nell'opera di Santa Maria del Fiore, nella quale fece una turata fra muro e tavole et il marmo circondato e, quello di continuo lavorando senza che nessuno il vedesse, a ultima perfezzione lo condusse. E perché il marmo già da maestro Simone storpiato e guasto non era in alcuni luoghi tanto ch'alla volontà di Michele Agnolo bastasse, per quel che averebbe voluto fare, egli fece che rimasero in esso delle prime scarpellate di maestro Simone, nella estremità del marmo, delle quali ancora se ne vede alcuna. E certo fu miracolo quello di Michele Agnolo far risuscitare uno ch'era tenuto per morto.
      Era questa statua, quando finita fu, ridotta in tal termine, che varie furono le dispute che si fecero per condurla in piazza de' Signori. Perché Giuliano da San Gallo et Antonio suo fratello fecero un castello di legname fortissimo e quella figura coi canapi sospesero a quello, acciò che, scotendosi, non si troncasse, anzi venisse crollandosi sempre, e con le travi per terra piane, con argani la tirorono e la misero in opra, et egli, , quando ella fu murata e finita, la discoperse, e veramente che questa opera ha tolto il grido a tutte le statue moderne et antiche, o greche o latine che elle si fossero, e si può dire che né 'l Marforio di Roma né il Tevere o 'l Nilo di Belvedere né i giganti di Monte Cavallo le sian simili in conto alcuno, con tanta misura e bellezza e con tanta bontà la finí Michel Agnolo.


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Le vite de' più eccellenti architetti pittori et scultori italiani da Cimabue insino a' tempi nostri.
di Giorgio Vasari
1550 pagine 1014

   





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