Michele Agnolo, trovandosi in forza altrui, fu costretto ubbidire e, quel che vendere non poteva, donare, et al duca con coloro andò senza levare le robbe de l'osteria. Perché, fattogli il duca accoglienze grandissime et appresso di ricchi et onorevoli doni, volse con buona provisione in Ferrara fermarlo, ma egli, non avendo a ciò l'animo intento, non vi volle restare. E pregatolo almeno che mentre la guerra durava non si partisse, il duca di nuovo gli fece offerte di tutto quello ch'era in poter suo. Onde Michele Agnolo, non volendo essere vinto di cortesia, lo ringraziò molto, e voltandosi verso i suoi due disse che aveva portato in Ferrara XII mila scudi, e che se gli bisognavano erano al piacer suo insieme con esso lui. Il duca lo menò a spasso per il palazzo, e quivi gli mostrò ciò ch'aveva di bello fino a un suo ritratto di mano di Tiziano, il quale fu da lui molto commendato. Né però lo poté mai fermare in palazzo, perché egli alla osteria volse ritornare, onde l'oste che lo alloggiava ebbe sotto mano dal duca infinite cose da fargli onore e commissione alla partita sua di non pigliare nulla del suo alloggio. Indi si condusse a Vinegia, dove, desiderando di conoscerlo molti gentiluomini, egli che sempre ebbe poca fantasia che di tale esercizio s'intendessero, si partí di Vinegia e si ritrasse ad abitare alla Giudecca.
Né molto vi stette che fatto fu l'accordo de la guerra, et egli a Fiorenza ritornò per ordine di Baccio Valori, nel quale ritorno diede fine a una Leda in tavola lavorata a tempera, che era divina, la quale mandò poi in Francia per Anton Mini suo creato.
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