Perché egli con grandissima voglia e sollecitudine fece fare, che non v'era prima, una scarpa di mattoni alla facciata di detta cappella, che da la sommità di sopra pendeva inanzi un mezzo braccio, acciò col tempo la polvere fermare non si potesse, né a essa nocere già mai. E cosí seguitando quella con sua comodità verso la fine andava. In questo tempo Sua Santità volse vedere la cappella, e perché il maestro , delle cerimonie usò prosunzione et entrovvi seco e biasimolla per li tanti ignudi, onde, volendosi vendicare, Michele Agnolo lo ritrasse di naturale nell'inferno nella figura di Minòs, fra un monte di diavoli.
Avvenne in questo tempo ch'egli cascò di non molto alto dal tavolato di questa opera, e, fattosi male a una gamba, per lo dolore e per la collera da nessuno non volse essere medicato. Per il che, trovandosi allora vivo Maestro Baccio Rontini fiorentino, amico suo e medico capriccioso e di quella virtú molto affezzionato, venendogli compassione di lui gli andò un giorno a picchiare a casa, e non gli essendo risposto da' vicini né da lui, per alcune vie secrete cercò tanto di salire, che a Michele Agnolo di stanza in stanza pervenne, il quale era disperato. Laonde Maestro Baccio finché egli guarito non fu, non lo volle abbandonare già mai, né spiccarsegli dintorno. Egli di questo male guarito e ritornato all'opera, et in quella di continuo lavorando, in pochi mesi a ultima fine la ridusse, dando tanta forza alle pitture di tal opera, che ha verificato il detto di Dante: "Morti li morti e i vivi parean vivi". E quivi si conosce la miseria de i dannati e l'allegrezza de' beati.
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