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      Si venne tosto a sapere che gli Austriaci, assaltata Bocchetta e trovata poca resistenza in coloro che la difendevano, se ne erano impadroniti, e già facevano le viste di avanzare.
      In tanto estremo i sopracciò della Repubblica, anzichè darsi a tutt’uomo a provvedimenti di guerra, si appigliarono ad un miserando partito. Mandarono in Langasco, in val di Polcevera, ove trovavansi i Borboniani, deputati a pregare l’infante don Filippo e gli altri generali a non volere abbandonare la città. Esposero i mandati non essere le cose disperate; i malagevoli monti delle propinque valli poter essere scudo e fondamento a far risorgere la fortuna caduta; doversi dar tempo al respirare dei soldati, affinchè la lena e gli spiriti riprendessero; essere Genova pronta a far tutto per difendere la sua libertà e gli interessi de’ suoi alleati; essere città forte e piena d’un popolo geloso delle sue franchigie, pronto per esso a dare il sangue de’ suoi figli; essere i villani delle valli vicine usi alle armi e deditissimi alla Repubblica, i quali, uniti alle soldatesche d’ordinanza, avrebbero potuto giovare assai alla comune difesa; domandare Genova che, siccome per lei sola non aveva combattuto, sola non fosse lasciata contro un nemico, il quale di nessun’altra cosa la imputava, se non di quella di essere stata amica di Francia e di Spagna.
      I deputati toccarono poscia gl’interessi degli Stati: importare molto la salute di Genova ai confederati; lei essere chiave d’Italia; se in mano austriaca venisse col famoso suo porto, colle sue comode riviere, essere certo che il regno di Napoli sarebbe in pericolo estremo; là l’Austria imbarcherebbe soldati, artiglierie, provvisioni per l’acquisto del desiderato reame; Genova amica dei Borboni essere antemurale di Napoli, serva degli Austriaci diventarne la ruina; non l’abbandonassero adunque, l’aiutassero, la preservassero.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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