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      Genova rimase atterrita; si empieva di pianto, di querele e di spavento. Il generale Escher fu mandato al conte Brown, comandante dell’avanguardia austriaca, per vedere se si avesse a fare con uomini discreti. Portò seco rinfreschi squisiti e delicati camangiari. Se non che l’Austriaco li ricusò, più crudo che ingannatore. Escher espose, che la Repubblica non aveva guerra coll’Imperatrice regina, e sperava che l’oste tedesca solo venisse per inseguire l’inimico non per trattare Genova da nemica.
      Diede il conte di Brown con fiero cipiglio una dura risposta; egli disse che veniva come nemico, e userebbe con Genova da nemico.
      I reggitori provarono mandargli i patrizi Ranieri, Grimaldi, Lomellini coi medesimi discorsi che Genova non era punto in guerra coll’Imperatrice, e che per la necessaria sua difesa solamente era stata costretta a prendere le armi in qualità d’ausiliaria.
      Vana prova fu questa pure. Venne finalmente domandato a Brown quali fossero le sue intenzioni. Ei rispose che tosto lo saprebbero; e mandò in Genova il conte Gerani con un foglio. Crudele era il foglio; ma presto ne giunse altro più crudele ancora.
      Gli Austriaci frattanto avevano occupato San Pier d’Arena. Improvvisamente e a dismisura crebbe la Polcevera per piogge copiose cadute sui monti, che con molte bestie, arnesi e provvisioni trascinò via quasi mille soldati, che rimasero annegati.
      Pareva che il cielo volesse aiutare i reggitori genovesi, ma essi non sapevano aiutarsi.
      Il marchese Botta, rinnegato italiano, sentiva come Genova non fosse preda da lasciare ad altri, e venne prestamente da Novi.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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