In sull’annottare del dì 7 mandò a dire ai Genovesi che voleva anco la porta san Tommaso. I deputati recaronsi a lui, e rappresentarongli come avesse a voce detto s’accontenterebbe di una sola. Il tristo Italiano a quelle parole, con un ghigno infernale, rispose che se dessi non avevano cervello lo aveva ben lui; che col domandare una porta, non aveva punto inteso un mucchio di sassi in arco, ma sibbene un adito aperto e libero per Genova, e che voleva porta san Tommaso. Ei se la ebbe; come pure per ordine della Signorìa ebbesi il castello di Gavi; ma non senza sdegno di Gianluca Balbi, che lo governava.
Occupate le porte Lanterna e san Tommaso, occupazione che era la servitù di Genova, la Signorìa, postergando insino all’estremo ogni dignità, mandava copiosi rinfreschi e cibi preziosi al Botta. Ma questi che di ben altri rinfreschi che di gola aveva voglia, ricusò il tutto. I sopracciò, temendo che il popolo, veduto il rifiuto in uno all’inaspettata consegna delle porte, potesse uscire in atti «imprudenti» - così i governi deboli chiamano la libera manifestazione del popolo contro ai nemici - ordinarono che i canestri prelibati fossero lasciati nella casa della missione di Fazzuolo. Quei religiosi godettero parte di quei doni, parte ne diedero ai poveri.
Il giorno 8 settembre arrivava in San Pier d’Arena l’annunciato commissario Chotek. Furono tosto dalla Signorìa mandati a lui Giambattista Grimaldi e Lorenzo Fieschi; a questi il duro Tedesco disse che la regina d’Ungheria era clementissima; che lasciava lo Stato ai Genovesi, ed in libertà di governarsi colle proprie leggi, cose di cui ella avrebbe potuto giustamente privarli per diritto di guerra e di confisca; che per cagione loro i Gallo-Ispani avevano trovato aperto il varco per introdursi in Lombardia, cui avevano sino in fondo desolata e guasta; che la regina aveva ogni ragione per domandare ai Genovesi il rifacimento dei sofferti danni; ma che siccome clemente era e buona così si accontentava soltanto di tremilioni di genovine, uno de’quali fra quarantotto ore, il secondo fra giorni otto, il terzo fra quindici.
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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano 1865
pagine 131 |
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