I deputati della città andarono dal Botta, gli rappresentarono che se quegl’Inglesi non se ne fossero andati, o non avessero cambiato modi, la fame avrebbe consumato non solamente i Genovesi, ma anco gli Austriaci; che il pretendere che la città pascesse l’esercito, ed il torle il mezzo di far venire i viveri, era un volere cose contradditorie; che poichè pei capitoli dell’accordo si era statuito non potessero i cannoni della Repubblica discacciare gl’insolenti, facesse almeno opera egli che cessassero. Rispose, che farebbe; eppure la rapacità continuava. Instarono di nuovo, e di nuovo rispose che farebbe. Ma era nulla di nulla; imperocchè l’Inglese continuava; porto e città erano desolati.
I reggitori della Repubblica fecero domandare al capitano stesso della nave nemica, perchè contro Genova in quella guisa operasse. Rispose ipocritamente dolergli tal cosa, ma esservi astretto dagli ordini superiori; condannare egli pel primo come ingiusto il suo operare e di pochissimo onore per la sua nazione, ma essergli giuocoforza obbedire.
Botta non rimediava, pretessendo ragioni che per comando di Maria Teresa nulla poteva imprendere che potesse arrecare disgusto a Carlo Emanuele o contrariare le sue intenzioni.
Gli storici non dubitano a credere come tra Austriaci ed Inglesi fosse una sola bottega.
Una terza volta i Genovesi si lamentarono col Botta. Dopo lunga discussione il generale concluse col promettere che avrebbe dato alle navi che sarebbero giunte in porto passaporti che l’Inglese rispetterebbe.
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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano 1865
pagine 131 |
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