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      L’Adorno, sebbene fosse sul disavvantaggio, per avere il nemico preso i luoghi più propizi all’attacco, non si smarrì punto; e poichè al fuoco si era venuto, col fuoco vigorosamente rispose. Nè cedè, come vedremo, se non quando per la rottura della muraglia era divenuto evidente che non a mancanza d’animo, ma ad una necessità di guerra obbediva.
      Carlo Emanuele, geloso di ricuperare la sua Nizza, non si era punto fermato all’intoppo trovato a Savona. Lasciati ivi sufficienti manipoli di soldati, aveva più oltre proceduto, preso Finale, già bloccato dal principe di Carignano, occupato tutto il paese, e non aveva trovato impedimento che a Ventimiglia. Quivi era ancora forte mano di Francesi, i quali ricusarono di cedere alle intimazioni di Carlo Emanuele. Laonde fu necessità al re d’usare la forza per domarli. Fatte venire per mare le grosse artiglierie, battè talmente la piazza che il comandante, fatta per otto giorni onorata difesa, fu obbligato ad arrendersi.
      Destino non dissimile ebbero i castelli di Villafranca e di Montalbano, i quali, venuti dopo debole contrasto in mano dell’antico padrone, gli aprirono l’adito a Nizza.
      Carlo Emanuele desiderava di andare senza porre tempo di mezzo a tentare le sponde del fiume Varo; ma fu costretto di frenare il corso alcun giorno, essendo stato in Nizza colpito dal vaiuolo.
      In sullo scorcio del mese di novembre, sempre fermo nel suo divisamento, accompagnato dall’austriaco Brown, passò il re il Varo, recandosi alla conquista della Provenza.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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