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      Soggiunse ironicamente parlando che, poichè tanto amavano la patria, non dovevano ritrarsi dal fare l’indicata deliberazione per salvarla. Ma quasi subito ritirandosi dalla sua proposizione, forse perchè aveva parlato con Chotek, riprese dicendo che voleva vedere oro e non carte, e tornò in sul volere che si pagassero in contanti il milione delle genovine colle due aggiunte sopra accennate.
      Governo e cittadini erano costernati; ma Botta e Chotek non si curavano punto della costernazione e dei dolori altrui: essi si fondavano sulle baionette e sui cannoni. Chotek anzi venne apertamente in sul dire, come se Thamas Kulikan fosse lui stesso, che quanto era in Genova e quanto possedevano gli abitatori, tutto all’Imperatrice apparteneva, e che qualsivoglia cosa avessero voluto serbare, dovevano ripeterla dalla di lei generosità e clemenza. Con ipocrito dolore poi andava il commissario dicendo che gli ultimi mali sovrastavano a Genova, ignara che cosa realmente fossero gli estremi della guerra; ch’egli però lo sapeva, e, comechè avesse il cuore indurato fra l’armi, al solo pensarvi ne sentiva raccapriccio ed orrore. Diceva che avrebbe lasciate le truppe per le esecuzioni, ma in quanto a lui sarebbe uscito dalla città per non vederne cogli occhi propri l’eccidio e la desolazione. Replicatosi dai deputati che qualunque trattamento non poteva indurre Genova a pagare, il truculento Chotek soggiunse che essi parlavano in quella guisa, perchè mai non avrebbero potuto figurare, nè concepire nell’animo i mali che li minacciavano, i quali di gran lunga avrebbero superato ogni immaginativa.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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