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      Tra il buio della notte, gli scrosci dell’uragano, le grida che assordavano l’aria, i lumi che mano mano s’andavano accendendo nelle vie e per le finestre, formavasi uno spettacolo cui penna non potrà adequatamente descrivere, spettacolo degno dell’immaginazione di Dante.
      Giunto il popolo a calca innanzi al palazzo pubblico, cominciò con urli e schiamazzi a chiedere le armi.
      Erano in quel punto congregati i collegi per deliberare sulle tristi condizioni in cui versava la patria. Udito il rumore e le strida del popolo, mandarono i più prudenti padri in una stanza contigua all’interno cortile, acciocchè, fatti quivi venire i capi del tumulto, intendessero a calmare quel furore, che poteva, secondo i loro paurosi intelletti, mettere la città al bersaglio d’un sacco, e precipitarla in un abisso di irreparabili mali.
      I signori del Governo, non volendo essere sforzati a qualche precipitosa risoluzione, fecero intanto chiudere le porte del palazzo, raddoppiare le guardie, a cui ordinarono che, anco colle armi, contenessero fuori del cancello la folla.
      I pacificatori, abboccatisi coi popolani, quantunque mettessero loro innanzi le calamità, gli stenti ed i pericoli conseguenti necessariamente alla loro impresa, nulla poterono da quelli ottenere, perchè stettero sempre ostinati nel volere le armi e nel far guerra cogli Austriaci.
      La moltitudine, accresciuta sempre più di numero pel sopraggiungere continuo di popolani di altri quartieri, specialmente di quel di Prè, fermossi a rumoreggiare fino alle cinque della notte innanzi a palazzo, incessantemente chiedendo armi.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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