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      Gli Austriaci furono presti a chiudere la porta. Poco dopo ne uscì una mano di granatieri, i quali respinsero i popolani, prendendo loro un cannone, cui una turba di ragazzi, ancor più inferociti dei loro padri, avevano colle tenere braccia aiutato a condurre. I nemici usarono tostamente del vantaggio; onde, fattisi innanzi con alcuni cavalli, prima con una scarica, poi ponendosi a corsa colle sciabole nude, facilmente sparpagliarono quell’incomposta moltitudine. Giunsero sino alla piazza della Nunziata; ma poco vi si trattennero; poichè i popolani, ripreso animo, avevano voltata la fronte, e tirata tal furia di archibugiate che tutta la squadra degli aggressori impaurita, a gran fretta, si riparò nella sicura stanza di San Tomaso, lasciando due morti in mano del popolo.
      Principale intento dei sollevati era di scacciare innanzi tratto gli Austriaci da quella porta; e’ s’accorsero come a tale proposito fossero mestiere forza, ordine, armi migliori. Il numero dei zelatori di patria venne sempre crescendo, e con essi l’impeto. Trovate le braccia cercarono le armi, non più solamente sciabole ed archibugi, ma cannoni, mortai e colubrine.
      Pegli amatori di quella libertà insidiata da uno spietato nemico, e malamente difesa da deboli patrizi, era bello il vedere il fremito, il bollore, l’ardore del popolo nel ricercare le armi, il durare contro la fatica di chi le trasportava. A forza di sole braccia, senza alcun aiuto di bestie da tiro, uomini, donne, fanciulli, preti, frati, trascinavano i pesantissimi cannoni con una velocità assai incredibile per le ineguali e perciò assai malagevoli vie che dovevano attraversare per giungere a fronte del nemico.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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