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      Giunto di faccia all’osteria, sclamava: «Lasciate pur fare a noi». E senza por tempo in mezzo, prendeva una fascina e l’accendeva; Pittamuli si armava di pistola; ed entrambi animosamente correvano verso la porta assediata, bravando la morte. Piantavano una palla in petto al primo austriaco che si parava loro avanti, e poi, entrati con altri ragazzi nell’interno, ponevano fuoco ai sacconi dei letti, in guisa che, l’incendio, unito alle archibugiate ed alle cannonate che cadevano e dal Bisagno, e da San Vincenzo, e da Santa Chiara, costringevano i granatieri ad arrendersi prigionieri. I ragazzi vittoriosi li trascinarono in Genova, e dietro di loro nel fango e nella belletta le loro bandiere.
      Frattanto gli altri corpi di soldati che travagliavano la città da Levante, non potendo resistere innanzi ai guerrieri della libertà, cessarono dal combattere, e si diedero tutti in balìa del popolo, che fecene una grande e lieta festa. Anco quelli che erano alloggiati in Nervi ed in Recco, non trovando scampo in mezzo a que’ furiosi villani, seguirono la fortuna dei compagni. Il quale successo, uditosi dagli Austriaci che stanziavano in Chiavari e nei luoghi vicini, pel monte delle Cento Croci, fuggirono su quel di Parma. I vinti furono condotti in città laceri e scalzi colle bandiere e gli stendardi sdrusciti.
      Gl’intrepidi cittadini dopo quella vittoria s’avviavano verso il fianco occidentale della città, con intenzione massimamente di snidiare il nemico dalla porta a San Tomaso. Strada facendo, continuamente s’ingrossavano, perchè, oltre al rintocco delle campane che rombava per l’aria, e l’aspetto dei preti e dei frati armati di croce e di spada, da cui erano incitati alla lotta, fu intimato a suono di tamburo ad ognuno di qualunque condizione fosse di correre alla difesa della libertà, pena la vita.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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