« — Signori, queste sono le chiavi che con tanta franchezza, loro serenissimi, hanno dato ai nostri nemici: procurino in avvenire di meglio custodirle, perchè noi col nostro sangue le abbiamo ricuperate.»
Terribile ammonizione data da un umile garzone di osteria a tanti patrizi di antico e chiaro sangue.
Accrebbe la comune allegrezza la poca perdita fatta dai popolani nella terribile mischia, tanto essi seppero bene avvantaggiarsi colla celerità nelle mosse e col coprirsi nell’andare avanti. Nel giorno della compiuta vittoria otto soltanto mancarono per morte, trenta per ferite; qualche numero più rilevante perì nei fatti precedenti, ma non tanto che il danno del nemico non fosse di gran lunga maggiore.
Oltre a mille nelle sole giornate di Genova rimasero uccisi di Austriaci, e oltre a quattromila prigionieri; i reggimenti Andreasi e Pallavicini furono i più danneggiati. Combatterono degli Austriaci quattordici compagnie di granatieri, quindici battaglioni di veterani, oltre millecinquecento Varadini, Panduri e Croati.
Il generale Botta erasi ritirato in San Pier d’Arena. Ma pur quivi non si credette in luogo sicuro, temendo che i Polceveraschi, uditi i casi di Genova, si levassero in armi, e gli facessero qualche mal giuoco sul fianco e alle spalle. Ordinò che prontamente l’esercito partisse. Gli Austriaci raccolsero quanto era permesso nell’angustia del tempo, massime i monti delle estorte genovine, che ancor loro rimanevano. Caricata ogni cosa, così di contanti, come d’arnesi, sopra carri, muli e sulle spalle dei soldati più fedeli, col favore della notte, buzzi buzzi, silenziosi, s’incamminarono per alla volta della Bocchetta.
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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano 1865
pagine 131 |
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