Era un baccano d’inferno, e davvero pareva che l’inferno avesse vomitata quella schifosa e cenciosa orda di gente.
A chi nulla nulla abbia vissuto in mezzo alle umane rivoluzioni questi fatti non giungeranno nuovi. Sempre succederanno, finchè il mondo, camminando innanzi, non per la via dei patiboli, ma per quella delle scuole, perverrà a distruggere la plebe. E qui è da fare una distinzione che si deve pure avvertire fra popolo e plebe. Narrano del demonio che abbia uno specchio, il quale invertisca ogni cosa da bene a male, da virtù a vizio. Quand’è così deve dirsi che il popolo è creazione di Dio e la plebe plagio del diavolo. Ed è poi certamente con diabolico artifizio che l’una all’altro si mescola, e, mascherando il suo vero essere, compie le nefande opere, e satisfà, agli istinti perversi col nome altrui; per cui, non raro, l’uno è accusato e infamato di quello che l’altra compie. Col popolo non possono vivere e grandeggiare che la libertà, che le opere generose, soltanto colla plebe gavazzano gli osceni saturnali, la sbrigliata licenza.
I furenti, giunti che furono innanzi all’antica e splendida sede del governo, ponevano il cannone sulla piazza detta volgarmente dei Pollaiuoli, e ne volgevano la bocca contro il palazzo, dov’erano il doge e i venerandi consessi della Repubblica. Quindi ad alte voci domandavano armi, mostravano di voler entrare negli appartamenti, lo che era loro negato col chiudere le guardie il rastrello. Ciò essi veduto vieppiù inviperivano. Scagliavano assai orribili imprecazioni contro la Signorìa, minacciavano di trarre col cannone.
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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano 1865
pagine 131 |
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Dio Pollaiuoli Repubblica Signorìa
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