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      Dubbio non v’era che il rivolgimento delle cose in Genova non fosse per fare entrare le Corti d’Europa in nuove deliberazioni, e concepire alle medesime, circa la guerra, altri pensieri di quelli cui sino allora avevano accettati. L’Austria invece intendeva tutta al vendicarsi, e le sue mire poneva al soggiogamento della Repubblica. E tanto era il suo ardore in questo divisamento, che oltre le proprie genti di molto ingrossate e infestanti già le rive della Polcevera, instantemente domandava, e anche con qualche imperio, a Carlo Emanuele, che all’assedio di Genova buon nerbo de’ suoi soldati mandasse. Comechè il re già vivesse con qualche freddezza con Vienna, non potè tuttavia esimersi dalla fattagli inchiesta. Onde accadde che Genova, non solamente si trovò stretta da lungi, e dalla parte di ponente, ma eziandio da vicino, dalla parte di levante.
      I Genovesi non s’intimorirono punto. Fatti grandi dalla precedente vittoria, invasati del santo amore alla propria patria, tutti stretti in fraterna concordia, arditamente affrontarono i numerosi nemici, e in più fazioni, sempre con estremo valore combattendoli, fecero del loro sangue rosse le rupi di Langasco, di Masone, di Ronsiglione, di Serra, d’Isoverde e di altri luoghi circostanti. Ma il valore non sempre è vincitore; esso talfiata deve dopo inaudite prove di costanza cedere al numero. Tal fu dei Genovesi, i quali altre braccia non avevano che le proprie, menomate ogni dì per ferite o per morti, mentre quelle del nemico ogni dì più s’accrescevano.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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