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      Ciò ci dimostra chiaro come vero sia quel proverbio che suona così «Aiutati che ti aiuterò!» E Genova che si era aiutata, raccoglieva adesso il frutto del suo magnanimo ardimento, stringendo profittevoli alleanze.
      È una ragione politica codesta di cui gli uomini di Stato italiani dovrebbero avere costante memoria, onde fra la ossequiosa osservanza ai maggiori e la iniziativa dei forti propositi non esitar mai. Siate forti e le alleanze saranno patti proficui ed onorati; ma deboli essendo e paurosi nel cercare amicizie, non troverete che protettori e padroni.
      Prima che le narrate cose si facessero, in Provenza erano già succedute grandi mutazioni. Nel timore che se l’Austria s’impadronisse di Genova tutta Italia sarebbe sotto al giogo, Carlo di Napoli in pericolo, Filippo senza speranza di Stato, la Spagna s’era riconciliata colla Francia, verso la quale aveva avuto poco innanzi non lieve materia di dispiacenza. La Francia vittoriosa nei Paesi Bassi si era rifatta di gente sulle sponde del Varo con un forte rinforzo di veterani. E l’una e l’altra potenza si erano risolute di venire di nuovo al paragone dell’armi sui duri gioghi delle Alpi e degli Apennini.
      L’austriaco Brown e re Carlo Emanuele provavano di già quello, di cui avrebbero dovuto rimaner capaci fin da prima, cioè che la Francia è una terra che non facilmente si lascia conquidere.
      La rivoluzione di Genova diede il tracollo e la guerra perduta pegli Austriaci e pei Piemontesi in Provenza; imperocchè Brown non solo non poteva più trarre da quella città le artiglierie per rinforzare Antibo, ma eragli in pari tempo tolta ogni speranza di ricevere nuovi rinforzi da Schulembourg, il quale a malappena poteva colle truppe, che sotto i suoi comandi stavano, frenare i valenti Repubblicani.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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