Un numero immenso di bandiere sventolavano in aria, era un chiedere ansioso, un prepararsi giulivo, un fremere d’impazienza, una lietezza che traspariva d’ogni volto e che faceva più vivido l’occhio delle belle Genovesi, più espressiva la fisonomia della gente del popolo. In tutti vedevansi dipinto un insolito giubilo, in tutti una nuova energia, l’entusiasmo di un gran fatto, d’una nuova vita. Era una festa non officiale; era una festa cui il popolo doveva prendere parte, non come spettatore insciente di ciò che si stava per fare, ma siccome attore protagonista che leggeva nel passato e meditava sull’avvenire. Alle nove circa la processione prendeva le mosse ed avviavasi per il santuario di Oregina. In capo alla comitiva sventolava la famosa bandiera del 1746 che quei di Portoria in uno alla memoria del Balilla e della gran rivolta, conservano tuttodì con affetto veramente religioso, profondo. Essa era recata da un tal Nicola Bixio, cugino del generoso Balilla, vecchio di oltre novant’anni ed ottimo popolano, depositario del sacro vessillo(3). Seguitava una numerosa schiera di donne povere e ricche bellamente confuse, capitanata dall’animosa signora marchesa Teresa Doria, e preceduta da uno stendardo portato da una del popolo. A questa schiera di donne, animate di un eguale sentimento, teneva dietro una rimarchevole truppa di fanciulli, i quali schiudevano il cuore, sì teneri ancora, all’affetto di patria. Questi erano seguiti da molti preti e frati, preceduti dalle loro bandiere, e dopo di essi da infinite schiere di cittadini d’ogni condizione: negozianti, mediatori, avvocati, procuratori, notai, studenti, questi ultimi aventi a duce il conte Terenzio Mamiani.
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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano 1865
pagine 131 |
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