A confermarli in questo proposito si aggiunsero verso la metà di novembre i conforti de' fuorusciti lombardi, che, in gran numero, raccozzatisi in Piemonte, assediavano re Carlo Alberto e il Parlamento e l'Esercito perchè non venissero meno ai patti giurati della unione, e commuovevano l'opinione pubblica, mirabilmente spalleggiati da quanti erano in quelle provincie amatori del vivere libero e teneri dell'onore italiano.
E scrive il Correnti(1), tanto valse la fede recente del più solenne patto politico, di cui la storia dia esempio, e la pietà d'un popolo intero di profughi, che protestavano di non esser stati vinti e di non volersi rendere vinti, ed il dispetto di una fuga inesplicabile, che in breve il Piemonte si rincuorò e tornò a credere a' propri destini. E anche i più restii per diffidenza o i più avversi per interesse alla guerra di libertà, sentendo rinforzare il vento contrario, non osavano più predicar la pace ad ogni costo, e aspettavano l'opportunità, o di rompere la guerra, quando altro non si potesse, o di far la pace in termini meno disonesti. Ma nell'ottobre e nel novembre, giunte le novelle della rivoluzione viennese e della guerra fra l'Austria e l'Ungheria, fuggito Pio IX, e prevalente la democrazia in Roma ed in Toscana, più si rinfiammarono le impazienze del partito della guerra in Piemonte, e le speranze dei Lombardi. E il Ministero, benchè tutti lo giudicassero deliberato a temporeggiare insino all'ultimo, pure, non sappiamo se per tenersi aperta anche la via delle armi o se per qualche più cupo consiglio, cominciò ad accogliere più benignamente i capi dei fuorusciti e ad assecondarli.
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