Più la primavera veniva avvicinandosi, più riavvampavano gli animi; crescevano le speranze, e con queste i timori.
Il 14 marzo giunse la notizia che l'armistizio tra l'Austria ed il Piemonte, era stato disdetto due giorni prima a mezzodì; che il 20 comincerebbero le ostilità, che i fuorusciti sarebbero entrati coll'esercito, e prima dell'esercito; che cento mila soldati stavano lungo il Ticino, pronti a rivendicare i diritti d'Italia.
Il dì 16 la guarnigione austriaca partiva da Brescia. Il generale d'Appel lasciava nel castello cinquecento uomini con quattordici pezzi di cannone, sotto gli ordini del capitano Leshke; alle falde di quello, nel Quartiere di Sant'Urbano, oltre sessanta gendarmi; nel Broletto, ov'era la Delegazione, il Tribunale della cassa pupillare e l'Ufficio della Polizia, un buon polso di soldati: nella sua solita stanza il Comandante di Piazza; negli ospedali di San Luca, Sant'Eufemia e San Gaetano da settecento in ottocento ammalati e un certo numero di medici.
Cogli Austriaci partivano le spie più notorie, gli sgherrani d'Haynau e d'Appel, e i pochissimi partigiani del dominio dell'oppressione.
Tant'era la fede in Dio e nella patria, che i Bresciani, senza distinzione, pronti aspettavano un cenno per insorgere; e nessun altro timore o dubbio avevano che quello di parere, per intemperanza di coraggio, o troppo impazienti, o poco disciplinati.
Appena gli Austriaci ebbero sgombrata la città, il Municipio, che era stato ricomposto poche settimane prima a capriccio dell'autorità militare, e alla cui direzione era stato messo Giovanni Zambelli, uomo tenuto ligio agli stranieri(2), mandò fuori due bandi: in uno raccomandava ai cittadini la prudenza, e prometteva la guardia civica, perchè più facilmente si potesse mantenere la quiete: nell'altro, che faceva imponente la guarnigione del castello, minacciava in caso di disordini, il bombardamento.
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