Comunque fosse, la città tutta aveva applaudito alla di lui nomina; per lo che il Saleri, più per riconoscenza che per propria volontà, accettava il posto conferitogli, e attivava subito la guardia cittadina, eleggendone capi i dottori Pietro Buffali e Carlo Tibaldi, giovani per capacità, per entusiasmo e per coraggio adattissimi. Chiedeva armi all'uopo al Comandante del forte, il quale, dietro replicate istanze, piegando alla necessità, prometteva quattrocento sciabole; ma come è di solito in tutti i generali austriaci, che hanno l'inganno a base della loro politica, ne consegnava, come vedremo, soltanto quaranta. In tal modo la guardia civica riesciva assai difficile ad effettuarsi, anche per la circostanza che pochi cittadini si facevano inscrivere, avversi come erano ai servigi che a quella venivano imposti, i quali non si confacevano punto alla santa causa cui avrebbero voluto coadiuvare.
Intanto giungeva in Brescia un messo, spedito dalla Giunta insurrezionale stanziata in Torino, il quale recava le istruzioni del generalissimo Charnowski, col piano dell'insurrezione lombarda, e coll'ordine che si dovesse incominciare il moto non più tardi del 21 marzo.
I fuorusciti, scrive il Correnti, credevano utilissimo che in uno stesso giorno l'esercito regolare aprisse le sue mosse sul Ticino e sul Po, e le popolazioni lombarde tutte assieme insorgessero; di maniera che il maresciallo Radetzky, trovandosi asserragliate le vie, mozzate le comunicazioni, minacciati i fianchi e le spalle, non potesse concentrare lungo i confini le sue masse in tempo e in luogo da opporre valido contrasto agli irruenti Piemontesi, nè potesse staccare grosse colonne a sterminio delle città levatesi in armi, nè quieto ed intero ricovrare ai covili delle sue fortezze: e così messo in mezzo ad un incendio universale, trovasse pericoloso tanto il combattere, quanto il ritirarsi.
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