Venuta la sera quasi trecento convalescenti ne uscirono e, sgominate o ferite le sentinelle cittadine, si aprirono coll'armi un varco al castello, lasciando i malati alla misericordia del popolo. Anche i gendarmi in quella sera riparavano in castello.
Ormai il dado era tratto; epperò con ottimo avvedimento i capi del Comitato divulgarono quei segreti che insino allora erano andati dubbiamente bucinando; e recate al Municipio le copie dei dispacci del Ministero e della Commissione insurrezionale di Torino, aprirono tutto l'ordine della congiura. Quasi nell'ora istessa giungevano dal Piemonte i cittadini Martinengo, Borghetti e Maffei, dando certezza, che già molte armi e munizioni erano in sulla strada d'Iseo, che le colonne degli emigrati movevano verso Bergamo, guidate da Camozzi, che in breve il campo degli insorti sarebbe raccolto intorno a Brescia: infine portavano liete non soltanto novelle, ma testimonianze della guerra, rotta da tre giorni coll'ingresso delle divisioni piemontesi in Lombardia per la via di Boffalora.
La certezza delle armi vicine e le speranze buone infiammarono il popolo meravigliosamente. Esso, sdegnoso d'ogni indugio, gridava concorde che si smettessero le pratiche e si venisse al ferro. Allora si cominciarono a vedere per le vie quei fucili irruginiti, che per sette mesi, sotto le minacce della legge marziale, erano stati guardati a rischio di vita, spettacolo minaccioso e commovente, che, mostrando quanto era stata infino allora la virtù segreta di Brescia, prometteva nuovi miracoli.
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