Intanto pareva che gli Austriaci a disegno irritassero quelle forti nature e volessero, così rintanati com'erano dietro i baluardi e i cannoni, comportarsi con baldanza da vincitori e con durezza da padroni.
Quando giunse al Leshke la notizia, che la città si era levata a rumore, egli gettò, quasi per saggio, dieci bombe, che non recarono danno notabile. Alle quattro mandava, a mezza d'un manuale muratore, ordine al Municipio, che rendesse i prigioni. Un'ora dopo, altro ordine che sciogliesse i prigioni, e tornassero tutti all'obbedienza; se prima di notte non fosse fatta ragione alla domanda, palle e bombe.
Il Saleri chiedeva tempo a pensare, a provvedere, a persuadere; dava in pegno la sua fede per la vita dei prigioni; e intanto convocava i Consiglieri comunali, e s'ingegnava per ogni via a guadagnare qualche ora di respiro. L'austriaco però era duro, e più duro il popolo; tantochè e lettere e preghiere poco fruttarono da una parte, e meno dall'altra.
A mezzanotte, quando già la città era tornata alla quiete, il Leshke, come ne aveva data parola, cominciò a bombardare: e per oltre due ore durò quel rovinìo. Ne infuriavano i bresciani, a cui non pareva essere secondo le giuste e onorate leggi di guerra quella tempesta di fuoco, lanciata a caso per le tenebre della notte, e paurosa e mortifera, non già agli uomini vigili ed armati, alle donne ed ai bimbi dormenti.
La città tutta, desta in sussulto, corse animosamente alle armi; gli incendi che qua e là scoppiavano furono spenti in poco d'ora; gli uomini armati traevano a furia verso il castello a bersagliarvi i cannonieri austriaci; i fanciulli correvamo alle campane, rispondevano ai cannoni martellando a stormo; le donne e gli inermi s'affaccendavano ad asserragliare le vie; e le bande dei disertori, annidate sui Ronchi, scendevano a battere le strade.
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