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      Comechè non peranco fossero giunti i fucili mandati dal Piemonte, Cassola e Contratti, fiduciosi nel valore cittadino, nella santità della causa, abbracciavano senza porre tempo in mezzo il partito di sfidare il tracotante straniero. Pubblicate al popolo dal balcone le esigenze di Nugent, esso colla potente sua voce prorompeva in grida di guerra e di disfida al nemico. Allora i duumviri ne scrivevano al generale austriaco, il quale, al messo che gli aveva portata la lettera, disse che il Comitato avrebbe avuto a che fare con lui. "Allora veramente, sclama il Correnti, si vide quanto possano in un popolo il magnanimo sdegno e lo amor di patria." Di tutta quella moltitudine, che era convenuta in sulla gran piazza, non uscì infatti una voce che degna non fosse di Brescia e del nome italiano. E sì che le notizie della guerra correvano ancora dubbiose, e a moltissimi pareva pericolosa la condizione della città, la quale, lontana e incerta degli amici, pressochè inerme e al tutto sprovvista di cannoni e di milizie regolari, trovavasi avere sovracapo il castello, e alle porte un nerbo di agguerriti nemici, che signoreggiavano la campagna; pure tutti, come fosse ispirazione di istinto naturale, trovaronsi concordi nel pensare che Brescia si avesse a difendere fino all'estremo. E l'impeto cittadino parve torrente che, rotto l'argine, straripi.
      All'ora fissata gli Austriaci, in numero di duemila, trassero ordinatamente contro sant'Eufemia, grossa borgata che siede appiè dei colli, a tre miglia da Brescia.


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Il martirio di Brescia.
Narrazione documentata
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1863 pagine 125

   





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