Circa cento de' nostri caddero tra morti, feriti e prigionieri in quella terribile giornata del 28 marzo; ma doppia riescì la perdita dei nemico, che rimase ammirato del valore dei Bresciani, e quasi inorridito per la loro sovraumana pertinacia; e diceva essere essi più terribili quando cadevano, che quando vincevano. "E perchè sia chiara l'indole di questa guerra e degli uomini che la combattevano, scrive il Correnti, vuolsi ricordare un fatto, che occorse in questo dì 28 a vista dell'uno e dell'altro campo. Un drappello di dragoni trascinava fuori di sant'Eufemia due prigionieri bresciani. I bersaglieri nostri s'appostarono per pur tentare di liberare i loro compatrioti. Al primo suono delle fucilate i cavalli tedeschi si mossero per pigliare altra via: ma i due prigioni, ch'erano in mezzo ad essi, afferrando le briglie e le staffe tentarono d'impedir la mossa; percossi, feriti, atterrati non ristettero dall'offendere: e l'uno d'essi, avvinghiata la gamba deretana del cavallo dell'ufficiale che guidava il drappello, e cavato un pugnale, si tirò addosso col cavallo il cavaliere, e prima di rendere l'estremo fiato lo trafisse.
Cinque ufficiali austriaci rimasero per un dì intiero insepolti sul campo di battaglia. D'altri tre ufficiali furono recate in trofeo per tutta Brescia le vesti e le insegne, colla spada d'un capitano presa dai nostri.
Il generale Nugent, in punto di morte, mandava per nuovi soccorsi ad Haynau, che reggeva il blocco di Venezia, e al maresciallo Radetzky, che già tornava vittorioso dal Ticino.
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