Il nemico, che aveva sperimentato di che sapesse la furia bresciana, si ritrasse verso san Francesco.
Breve fu la notte ai cittadini, già affranti di sette giorni di incertezze, di agitazioni e di battaglie. Il giorno 30 marzo, per tempissimo, ricominciarono le offese dalle due parti, massime a porta Torrelunga, investita da sei grosse compagnie di fanti, gente fresca e bene in punto, le quali facevano prova di stendersi sotto le mura, e di congiungersi colla guarnigione del castello. Ma il fuoco, spesso e giusto, dei cacciatori bresciani ruppe quel disegno; tanto che quelle dovettero pigliare altro partito, e salire in colonna sull'erta dei Ronchi per isboccare poi con lungo e faticoso rigiro alle spalle del castello. Il che riuscì loro nè senza pena, nè senza sangue; imperocchè innanzi tratto cozzarono coi volontari del Boifava, i quali, fatta quella resistenza che loro concedeva il numero sottile e la scarsità delle munizioni, si ritrassero quindi ordinati ed intieri verso le parti più aspre della montagna.
Nello scendere dai Ronchi per venire verso la porta di soccorso del castello, il nemico ebbe a sostenere, quasi scoperto, il fuoco dei cittadini, che dalle mura e dal torrione della Pusterla sicuramente lo tempestavano, e più fiate, comechè senza artiglieria, lo costrinsero a retrocedere. Seguendo il vandalico sistema introdotto nell'esercito austriaco dalla ferina natura de' capi, i truci si vendicavano delle perdite che soffrivano col saccheggiare i casini di campagna.
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