Uditi i casi di Brescia e lo smacco che le armi imperiali ne soffrivano, si era l'Haynau mosso segretamente da Mestre, e soprarrivato improvviso agli avamposti di sant'Eufemia, con meraviglia dello stesso Nugent, recossi in mano il comando dell'assedio, e prestamente divisò come compiere l'eccidio di quella città, cui pochi mesi prima aveva bistrattata e insultata sì bassamente, che i Bresciani solevano chiamarlo col nome di Jena.
Fu la notte quieta per Brescia quanto essere poteva tra i gridi d'allarme, le fucilate delle scolte, il rintocco delle campane, e il barlume dei morenti incendi, che i Croati avevano la sera accesi nelle case dei Ronchi, quasi per documentare a lor modo che ne avevano preso possesso.
II
Il mattino del giorno 31 sorgeva tristo e uliginoso. I cittadini, già fattisi alla vita soldatesca, erano tornati ai posti aspettando l'assalto, e più diligentemente guardandosi con doppie scolte, perchè il nemico non si vantaggiasse d'un nebbione assai fitto, che toglieva la vista dei colli e delle strade suburbane. Poco appresso le ore antimeridiane calarono dal castello alcuni soldati, preceduti da una bandiera bianca, portata da due gendarmi. Ne corse subito voce per la città, e fu maravigliosa la pressa del popolo, che già sperava d'essere venuto al termine glorioso delle sue fatiche. I due gendarmi furono presi in mezzo dalle pattuglie cittadine e condotti al Municipio, ove misero fuori un dispaccio dell'Haynau. Veggendo la firma del truculento generale, che per sicura fama sapevano a Mestre, istupidirono i Bresciani; e molti credettero che il Leshke, disperato d'uscire vivo dalle mani dei cittadini, avesse falsata la firma per ottenere col terrore d'un nome ciò che non aveva potuto colle bombo; altri cominciarono a sospettare quello che veramente era, cioè che ormai tutto lo sforzo della guerra italiana si riducesse d'intorno alle mura di Brescia.
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