Il sacerdote Andrea Gabetti, maestro di scuola ed alienissimo dall'armi, appena gridati la domenica i patti della resa, si mosse inerme e sicuro verso porta Torrelunga, con animo d'uscire nel quartiere suburbano dove la notte prima aveva veduto, stando pur tuttavia in città, ardere poco fuori dalle mura una sua casetta, nella quale aveva la madre. Alla porta chiese dell'ufficiale, e chiaritolo del pietoso motivo che lo faceva andare, n'ebbe l'assenso. Ma non aveva fatto cento passi, che a gran tempesta fu richiamato, inseguito, preso e mandato all'Haynau in castello, dove, il dì appresso, come prete e come patriota, venne fucilato.
Pietro Venturini, uomo di legge assai popolare tra i Bresciani, grave come era per l'età e per la podagra, fu pur strappato inerme di sua casa e tradotto in castello. Quivi pressato con minacce a giurare la bandiera imperiale, si rizzò fieramente in mezzo alle baionette puntategli sul cuore, e imprecando ai nemici d'Italia, e mandando un saluto d'amore alla patria e alla libertà chiese ed ottenne di morire.
Carlo Ziga, lavoratore di cocchi, giovine vensettenne e sciancato della persona, fu ghermito dai Croati, e, bagnato d'acqua ragia, arso vivo, credendo i truci che il misero potesse spirare coi più risibili contorcimenti che mai. Se non che il forte popolano, avventatosi sul più prossimo e giubilante dei suoi manigoldi, lo abbrancò, e colla furibonda vendetta, lo tenne sì indissolubilmente avvinto che lo costrinse a morire con lui di morte aspra e crudele.
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