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      Conceder loro per questo un termine di 6 ore, e facoltà di usar coi renitenti la forza e le pene; badassero però che anch'essi colla forza e colle pene sarebbero stati astretti a compiere l'ufficio loro."
      Così li accommiatò minacciando. Poco dopo il Sangervasio, avuto per indizi e per avvisi, certezza, che volevano arrestarlo, dovette trafugarsi fuor di città. Rimasero i due suoi colleghi, i quali con bandi e con messi sollecitarono i bottegai a riaprire i loro fondachi, mostrando come quella chiusura irritasse il nemico e offrisse pretesto d'usare violenza. Ma più di questi conforti valse il pensiero di assoldare sentinelle e postarle a guardia delle botteghe, frenando così colla religione della disciplina quelle orde ubbriache di sangue.
      Intanto alla tumultuaria carnificina, succedeva, nuovo argomento di terrore, la carnificina ordinata. Svanera e Siccardi, famosi sgherri di polizia, appena liberati dalle prigioni, ove il popolo aveva loro perdonato la vita, entrarono in caccia: e quanti si fossero in voce o di più caldi amatori della patria, o di più intrepidi al fuoco venivano fiutati, cercati, e, se per loro mala ventura presi, erano nel giro di poche ore tratti in castello o nelle caserme, bastonati, martoriati, e infine fucilati e buttati nelle fosse o sotto i bastioni, ove per più giorni se ne lasciavano insepolti i cadaveri, affinchè servissero di salutare terrore.
      Mal si potrebbe dire quanti a questo modo mancassero; ma la fama li reca presso ad un centinaio. Infine tre giorni dopo, alle reiterate supplicazioni del Municipio, il tenente maresciallo Appel promise, e gli parve clemenza, che "da quel dì in avanti nessuno più sarebbe passato per l'armi senza i soliti processi.


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Il martirio di Brescia.
Narrazione documentata
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1863 pagine 125

   





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