Il movimento dei novelli crociati era bello, grande, ammirato dai contrari, temuto dai nemici.
Non ci sentiamo abbastanza forti a descrivere il superbo spettacolo che la nostra Italia presentava in que' dì, in cui i padri, i mariti, i figliuoli, i professori, gli studiosi correvano a rivendicare col loro sangue i colculcati diritti, e a riconquistare a tutti una patria che uno straniero insolente ci aveva tolta. Dal Modenese, dal Parmigiano, dal Genovesato, dal Novarese andavano volonterosi aiuti ai Lombardi. Le Guardie nazionali di Firenze, di Pisa, di Livorno, di Siena si mobilizzavano, aventi a capo il colonnello Giovannetti. La principessa Cristina di Belgioioso traeva seco da Napoli un drappello di volontari, cui Ferdinando di Borbone aveva dovuto, suo malgrado, accordare le armi. Da Roma, guidati dai generali Giovanni Durando e Andrea Ferrari, partivano le truppe pontificie delle tre armature con parecchie legioni di militi cittadini. Da Milano, dopo l'esempio di Manara, partivano nuove guerriglie, le quali, là sul Garda, si univano, coll'intendimento di asserragliare i passi dello Stelvio e del Tonale, suscitare nel cuor bellicoso dei Tirolesi la sacra fiamma del fratellevole amore, rivendicare i confini d'Italia sulle Alpi Rezie, dove la natura li ha posti, e il diritto delle nostre genti li addita.
Bello era quell'entusiasmo, quell'accorrere di giovani volonterosi di vincere o di morire per la patria; ma di quell'entusiasmo, di que' volontari non si volle far tesoro.
Era cessata la lotta delle vie.
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