A Pavia veniva accolto fra applausi indicibili, tra gridi di festa e fra le vie sparse di fiori. L'esercito sardo sommava a 72,000 uomini, molte migliaia de' quali rimasero di presidio nei paesi che furono occupati durante la guerra; molti i vaganti per capriccio, per malattia, per superiore permesso, per dilatata licenza. Quell'esercito era ben lontano allora da quell'organamento a cui il La Marmora seppe portarlo dopo gl'infelici anni 1848 e 1849, e a cui si dovettero quelle stupende prove da lui date in Crimea, a Palestro, a san Martino. La fiducia d'un'eterna pace coll'Austria aveva fatte trascurare al governo di Torino le provvidenze di guerra; e se le armi soperchiavano di gran lunga la ordinaria misura per sedare le possibili intestine sommosse, non bastavano, sia nel numero, sia nelle militari discipline, per porsi convenientemente in campo contro un nemico, fuggitivo sì, ma sempre gigante com'era l'austriaco. Oltre a ciò i generali mancavano di carte topografiche, e non conoscevano la parte d'Italia in cui andavano a combattere. A un tale esercito bisognava un capo ardito, sapiente delle cose di guerra, di que' generali che sanno in pochi dì creare i soldati, che sanno loro infondere quell'impeto che sopperisce agli stretti ordinamenti. Carlo Alberto, prendendo a sè il comando supremo delle truppe, fece grave errore. Egli avrà avute tutte le buone qualità immaginabili; ma mancava di spirito belligero, e d'attitudine per essere generale; era fiacco ed ignorante affatto della strategia.
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