Il nemico resisteva, egli lo assaliva colla baionetta; e, afferrato il braccio del capitano, lo faceva prigioniero co' suoi. Ufficiali e soldati morirono da prodi. Cadde tra i più cari e rimpianti il giovane marchese Gerolamo di Bevilacqua, da Brescia, ricco di dovizie e di amor patrio, pochi dì prima assunto al grado di ufficiale nel reggimento di cavalleria Piemonte Reale; egli cadde mentre già i nostri gridavano vittoria. Avuto il comando dal suo capitano d'infugare un nodo di nemici, egli si slanciava furiosamente alla testa de' suoi soldati, e, spiccando un gran salto per sopra una siepe, si dirigeva verso il cimitero di Pastrengo. Il fatto era coronato di lieto successo, non era morto che un trombettiere. Imperocchè gli Austriaci lasciavano la riva destra dell'Adige, e i Croati, rannicchiati dietro una cascina posta sopra un poggio, erano stati obbligati a snidar di colà per la maestria delle artiglierie nostre, le quali avevano smantellato quel riparo. E ad uno di codesti Croati, mortalmente ferito vicino ad un albero, Bevilacqua si avvicinava appunto per pietà guerriera e per dirgli di rimanere pur tranquillo in potere degl'Italiani. Esso avvicinavasi con un sentimento di benevolenza; ma l'altro, scaricandogli contro l'archibugio, che carico aveva fra le gambe, freddamente l'uccideva. Così a 25 anni moriva per la causa italiana Gerolamo Bevilacqua, lasciando di sè ineffabile dolore nella famiglia, desiderio perenne negli amici, nella storia il nome di un Martire.
La forza santificata dal diritto respingeva sui campi lombardi la forza compagna alla violenza ed all'oppressione.
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