Mentre gl'Italiani dalla mente immaginosa e poetica cantavano inni a gola piena sulla riconquista della patria, quasi attendendo il rinnovamento di que' prodigi registrati nella storia degli Ebrei, il generale Nugent, quello stesso che un anno dopo moriva sotto le mura di Brescia, alla testa d'un corpo d'armata valicava senza ostacolo l'Isonzo, muovendo per alla volta di Palmanova. Erano 20,000 uomini che il ministero di Vienna aveva potuto radunare e spedire in Italia durante le incertezze di Carlo Alberto e gli errori del governo di Lombardia.
Oh! se quel re, serbando le mitezza dell'animo per tempi più lieti, si fosse mostrato capace di risoluzioni forti ed ardite! Se i generali, meglio scienti di quanto valessero, non avessero abbracciato ogni mezzo per ispegnere il primo entusiasmo, nè gettato il discredito sull'insurrezione popolare! Oh almeno, se gl'Italiani tutti adatti alle armi, invece di farsi abbagliare da mendaci propositi, fossero sorti alla voce dell'onore ed avessero avviluppato e ristretto gli stranieri entro una cerchia di baionette, l'Italia sin d'allora si sarebbe costituita; avremmo Roma e Venezia; Nizza e Savoia non sarebbero state vendute, e non saremmo all'arbitrio dell'uomo del 2 dicembre.
La fortezza di Palmanova era presidiata da un buon nerbo di difensori lombardi, veneti e piemontesi; ciò saputosi dal Nugent, stimando che lo Zucchi, lor comandante, si sarebbe battuto sino all'estremo, volse le sue genti perso Udine. Presidiavano questa città due compagnie di fanteria; 500 civici mobilizzati, parte con fucili da caccia, parte armati di lancie; una compagnia di granatieri mandati da Venezia senz'armi, e pochi artiglieri di marineria con quattro cannoni da 6. E questo pugno d'Italiani, sprovveduto d'ogni argomento di guerra, teneva per sei ore continue testa alle falangi austriache, e le fugava con non lievi perdite.
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